Vol 23 (2024) Publishing After Progress

 

Sarebbe davvero così ‘pericoloso’ trasformare una recensione in una negoziazione?
Riflessioni sulla mia esperienza di valutazione aperta inter pares

Domenico Fiormonte

Università degli Studi di Roma Tre, Dipartimento di Studi Umanistici

[Revisore di ‘Publicación digital y preservación de los comunes. Una apuesta tecnológica latinoamericana‘ di Sheila Godínez-Larios & Eduardo Aguado-López]

Click here for the English translation

La sfida posta dal numero speciale di Culture Machine ‘Publishing after Progress’ è insieme liberatoria e necessaria: è possibile decostruire, bypassare e finalmente superare le forme della valutazione accademica e scientifica così come le conosciamo almeno dalla fondazione della prima rivista scientifica moderna, nella seconda metà del secolo diciassettesimo? Mi faccio la stessa domanda da vent’anni. Naturalmente si tratta di una questione estremamente complessa: toccare il metodo della valutazione scientifica vuol dire mettere in discussione le fondamenta del fragile edificio accademico. Ma nella situazione attuale disquilibrio globale della produzione scientifica, in cui il capitale epistemico è concentrato saldamente nelle mani dell’occidente anglofono, tale passaggio non è più procrastinabile. È per questo che ho accettato l’invito di Rebekka Kiesewetter a partecipare a questa eccitante esperienza di valutazione aperta. Impegnarsi in una valutazione aperta significa, prima di tutto, liberarsi del proprio ego accademico – un esercizio salutare. Vuol dire scendere dal traballante piedistallo dell’obiettività dietro al quale si celano falsi riti come quello del ‘doppio cieco’ e altre amenità che ci raccontiamo – mentendo – che costituiscano la garanzia di serietà, rigore e professionalità del nostro lavoro di ricerca. Non so dire se il modello della valutazione inter pares ‘a distanza di sicurezza’ abbia mai avuto un senso, favorendo realmente l’innovazione e l’originalità della ricerca. Onestamente, ne dubito. Quello che è evidente però è che oggi tale modello costituisce probabilmente uno dei principali strumenti di conservazione e perpetuazione del potere delle caste accademiche, le quali, perlopiù, usano la valutazione inter pares come strumento à la ‘sorvegliare e punire’. Qualcuno griderà: ‘ma solo l’anonimato garantisce la libertà di giudizio!’ Tale lamento riflette una concezione malata di scienza, non basata sul confronto, ma sulla delazione e sulla rimozione degli argomenti sgraditi al mainstream. Assumersi la responsabilità delle proprie idee (e dei propri ‘giudizi’) dovrebbe essere la sola forma di competizione sana accettabile all’interno di un consesso intellettuale. Vogliamo davvero far avanzare la ricerca? Mettiamoci in discussione: come autori e come revisori, come editori e come curatori. Ovviamente con la consapevolezza che in un mondo imperfetto non esistono soluzioni perfette. E che rigettare una pubblicazione o ricevere un rifiuto fanno parte di un faticoso, spesso doloroso, processo di consapevolezza e crescita (per entrambe le parti!). Ma questo processo dovrebbe essere un processo dialettico, trasparente e che rinunci al mero esercizio unilaterale del potere. Sarebbe davvero così terribile trasformare una valutazione in una negoziazione?

Anche per questo ho chiesto agli autori dell’articolo che mi è stato assegnato di incontrarli online dopo avergli inviato i commenti al loro lavoro. Ne è scaturita una discussione (almeno per me!) appassionante, di oltre un’ora, nella quale non solo spero di aver dato un contributo costruttivo alla stesura del articolo finale, ma dove ho imparato moltissimo su temi che conoscevo poco, ma che fanno parte dei miei interessi di ricerca. Alla fine, mi è sembrato che il vero beneficiario di questo scambio fossi più io che loro! Il faccia-a-faccia con gli autori che stiamo valutando, soprattutto in certi cultural settings, può essere fonte di imbarazzo. A me ha aiutato, anche perché incontrando il gruppo di ricerca di Redalyc che lavora con Sheila e Eduardo, si è aperta di fronte a me la ‘rete invisibile’ dalla quale emerge ogni lavoro scientifico.

Estratti della conversazione di valutazione aperta tra Sheila Godínez-Larios, Eduardo Aguado-López, autori di ‘Publicación digital y preservación de los comunes: una apuesta tecnológica latinoamericana’ / ‘Digital Publishing and the Preservation of the Commons: A Latin American Technological Initiative’, membri di Redalyc, e Domenico Fiormonte (video: Domenico Fiormonte / CC BY-NC-SA).

Ed è forse questa concezione di rete la caratteristica più importante della ricerca, un fattore decisivo ma nascosto (a volte confinato in una nota a piè pagina) che il processo di valutazione aperta può mettere in risalto. Cambiare il modo di valutare, aggiungendo (e non sottraendo) più componente umana, può essere un modo per trasformare le nostre istituzioni di ricerca. In fondo leggere un articolo è un atto che ci confina in una forma che non è più sufficiente a rappresentare la complessità di una ricerca contemporanea. E vederci di più, interagire di più, confrontarci di più – se necessario anche scontrarci – può essere un modo per sottrarci tutti all’abbraccio mortale delle macchine che oggi minacciano di automatizzare tutte le fasi della ricerca, trasferendo sugli algoritmi i bias del sistema che li ha progettati. È questo probabilmente l’ennesimo stratagemma del potere – certo il più insidioso – per oscurare definitivamente le proprie tracce e responsabilità.